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Oggi andremo a conoscere un settore dell’archeologia che ancora non avevamo toccato,il mondo dell’uomo di Neandertal (Homo neanderthalensis) e quello degli scavi archeologici in quota e lo faremo con il professor Diego Angelucci, archeologo dell’Università di Trento.
Diego Angelucci, geoarcheologo, Dottore di Ricerca, è professore di Metodologie della ricerca archeologica all’Università di Trento, dove è arrivato per chiamata diretta nel 2009 dopo anni trascorsi all’estero come ricercatore presso la URV (Catalogna), lo IPA (Instituto Português de Arqueologia, Portogallo) e il CENIEH (Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana, Spagna). A Trento è stato inoltre Coordinatore del Dottorato Culture d’Europa. Ambiente, spazi, storie, arti, idee. Le sue attività di ricerca riguardano la stratigrafia e i processi di formazione del record archeologico, la micromorfologia archeologica, l’archeologia degli ambienti montani e del Paleo-Mesolitico europeo. Ha preso parte, come direttore o ricercatore, a programmi di ricerca in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Oman; attualmente è coinvolto in progetti sulla transizione Paleolitico Medio-Superiore della Penisola Iberica e sullo sfruttamento delle montagne alpine a fini pastorali. Autore di circa duecento contributi scientifici (tra questi una trentina di articoli in riviste internazionali peer-reviewed) e divulgativi e revisore per riviste, case editrici e istituzioni nazionali e internazionali, ha diretto decine di tesi di ambito archeologico e tenuto seminari e conferenze (anche divulgative) in più Paesi; organizza annualmente Archeodays – incontro di archeologia all’Università di Trento.
Chi erano i Neanderthal?
Erano degli ominidi strettamente affini all’Homo sapiens che vissero nel periodo Paleolitico medio, compreso tra i 200.000 e i 30.000 anni fa.
L’uomo di Neanderthal prende il nome dalla valle di Neander (Neandertal in tedesco) presso Düsseldorf in Germania, dove vennero ritrovati i primi resti fossili. Fu un Homo molto evoluto, in possesso di tecnologie litiche elevate e dal comportamento sociale piuttosto avanzato, al pari dei sapiens di diversi periodi paleolitici.
Convissuto nell’ultimo periodo della sua esistenza con lo stesso Homo sapiens, l’Homo neanderthalensis scomparve in un tempo relativamente breve, evento che costituisce un enigma scientifico oggi attivamente studiato.
I resti che diedero il nome alla specie furono scoperti nell’agosto 1856 da scavatori di calcare in una grotta denominata “Kleine Feldhofer” nella valle di Neander, nei pressi della località di Feldhof in Germania. I reperti, inizialmente creduti dagli scavatori ossa d’orso, furono riconosciuti da Johann Carl Fuhlrott, locale insegnante e studioso di storia naturale, come appartenenti a una nuova specie del genere Homo. Della scoperta dei fossili venne dato annuncio ufficiale solo il 4 febbraio 1857.
I resti rinvenuti consistevano nella parte superiore del cranio, alcune ossa, parte dell’osso pelvico, alcune costole e ossa del braccio e della spalla.
In precedenza erano stati scoperti altri fossili; infatti già nel 1829, nella Grottes d’Engis, nel comune di Flémalle in Belgio, venne trovato parte di un cranio di un bambino tra i due e tre anni di età. Il reperto, scientificamente noto come Egis 2, però venne riconosciuto come non umano soltanto nel 1836. Nel 1848 a Gibilterra venne trovato un cranio adulto, poi battezzato Gibraltar 1, ma la sua esistenza rimase sconosciuta alla scienza fino al 1864, quando venne riconosciuto come appartenente a un individuo Neandertal.
Inizialmente, non ci fu concordanza nella comunità scientifica che i resti appartenessero ad una specie distinta da quella dell’uomo moderno; alcuni avanzarono l’ipotesi che i resti appartenessero ad un individuo affetto da un qualche tipo di patologia. Solo successivamente, dopo che nel 1858 Charles Darwin ebbe pubblicato L’origine delle specie, e nel 1886 reperti dello stesso genere furono ritrovati nella Grotta di Spy in Belgio, l’ipotesi di ossa appartenenti ad un individuo affetto da patologia fu abbandonata.
Altri rinvenimenti importanti vennero fatti a Krapina in Croazia nel 1899 da Dragutin Gorjanovic-Kramberger, che rinvenne oltre novecento reperti attribuibili a circa ottanta individui alcuni dei quali risalenti a 125 000 anni fa e nel 1908 in Francia a La Chapelle-aux-Saints da un team di ricercatori, che rinvennero lo scheletro di un uomo molto ben conservato in posizione rannicchiata, che lo fa ritenere il primo luogo di sepoltura neandertaliano mai scoperto, risalente a 50000 anni.
Nel 1939 venne rinvenuto nella grotta Guattari a San Felice Circeo nel Lazio, un cranio presumibilmente appartenente a H. neanderthalensis.
Nel secondo dopoguerra emersero ancora altri resti importanti; tra il 1953 e il 1960 nella grotta di Shanidar in Iraq vennero scoperti nove scheletri di uomini di Neandertal, risalenti a un periodo compreso tra i 70 e i 40000 anni fa e nel 1979, a La Roche à Pierrot vicino al villaggio di Saint-Césaire in Francia, uno scheletro completo risalente a 35000 anni fa.
Il sito più settentrionale che testimonia la presenza di neandertaliani è quello di Salzgitter-Lebenstedt, scoperto nel 1953 in Germania, rilevante anche per comprendere le abitudini di caccia dei neandertaliani.
Nel 1983 la scoperta che il fossile Neanderthalian denominato Kebara 2 presentasse un osso ioide – utilizzato nel processo di fonazione, ha permesso di ipotizzare che i Neanderthal fossero in grado di parlare.
Secondo uno scavo archeologico condotto dal 1989 al 2021 nella Gruta da Oliveira, un anfratto largo 30 metri quadrati e alto 6 ubicato nel Portogallo centrale, i Neanderthal erano capaci di gestire il fuoco per cuocere i cibi, per cucinare e per difendersi. Oltre a ciò, è stato accertato che i Neanderthal “padroneggiavano il pensiero simbolico, producevano oggetti artistici, sapevano prendersi cura del proprio corpo usando ornamenti e avevano una dieta estremamente variata.”
Il Progetto Alpes
Il progetto ALPES nasce nel 2010 e ha come scopo lo studio del rapporto uomo-ambiente nelle alte quote, con particolare riferimento all’utilizzo delle aree montane a fini pastorali e della loro evoluzione nel tempo. Il progetto si concentra su un’area campione della Val di Sole (TN), corrispondente ai pascoli dei paesi di Ortisé e Menas (Val di Sole, Trentino), nelle valli Molinac e del Porè, tra c. 1800 e 2500 m.
Nei suoi primi cinque anni il progetto – svolto in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento – ha visto lavori di ricognizione e di scavo archeologico, che hanno permesso di raccogliere numerosi dati di grande rilevanza scientifica, pubblicati in articoli specialistici, in una monografia scientifica e in un volumetto divulgativo.
Il sito MZ005S è stato individuato durante la prima campagna di ricerca nel 2010 ed è costituito da un complesso articolato di recinti situato a 2257 m di altitudine in Val Poré, sulla sinistra idrografica della Val di Sole. L’attività sul campo ha incluso il rilievo topografico a grande scala del complesso e dell’area limitrofa, seguito dall’analisi strutturale delle murature a secco e lo scavo stratigrafico di alcuni sondaggi. I dati raccolti e le datazioni radiometriche mettono in luce un’occupazione prolungata nel tempo: evidenze di una possibile occupazione preistorica; datazioni al 14C su carbone restituiscono risultati collocabili tra il XII-XIII e il XV secolo d.C.; i reperti rinvenuti sono collocabili cronologicamente tra XVI-XVII secolo d.C., anche se il sito è stato frequentato sporadicamente fino alla seconda metà del XX secolo d.C. I dati raccolti permettono una prima ricostruzione delle fasi di strutturazione e d’uso del sito, denotando l’alto potenziale del deposito nella ricerca delle interrelazioni tra l’evoluzione del paesaggio d’alta quota e lo sfruttamento delle risorse durante il tardo Olocene.
INFO
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