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Nella puntata di oggi vi parleremo di un libro storico scritto da Luca Fregona, un giornalista di 53 anni, caporedattore del quotidiano Alto Adige e capo della Cronaca di Bolzano.
Grazie al grande riscontro del suo precedente libro “Soldati di Sventura”, l’autore Luca Fregona, ha avuto modo di raccogliere altre storie di giovani italiani e sudtirolesi ingaggiati nel dopoguerra dalla Legione Straniera e spediti a combattere in Vietnam contro l’Esercito di Liberazione di Ho Chi Minh. Alcuni anche nella guerra d’Algeria, come un meranese ancora vivente, che è stato coinvolto nel colpo di stato contro De Gaulle dell’aprile del 1961.
Il libro “Laggiù dove si muore” ha una struttura diversa rispetto a “Soldati di Sventura”. Si apre con la testimonianza lunga e articolata di Giorgio Cargioli, un ex legionario di La Spezia (vivente), che ha disertato alla fine del conflitto in Indocina per sottrarsi ai tre anni d’ingaggio che gli rimanevano. Catturato dai francesi, è stato condannato a sei anni di prigione. Con lui, c’era anche il bolzanino Luciano Saggese di 23 anni. Entrambi sono stati protagonisti di una fuga che all’epoca fece rumore in tutto il mondo. Insieme ad altri compagni si ribellarono sul piroscafo che li riportava in Algeria, gettandosi in mare a Port Said, nel canale di Suez. Solo una trentina riuscirono a raggiungere la riva e sopravvivere. Cargioli e Saggese ce la fecero. Vennero presi in carico dai rispettivi consolati e rimpatriati.
Il libro procede poi con microstorie di legionari altoatesini e non (una decina circa). Si tratta di profili, arricchiti di foto e documenti che l’autore ha raccolto e selezionato tra le numerose e continue segnalazioni di parenti arrivate dopo la pubblicazione di “Soldati di sventura”. Le singole storie vengono viste anche dalla prospettiva delle famiglie, che, in alcuni casi, ancora oggi non sanno dove siano seppelliti i propri cari. L’idea è di farne delle istantanee di una generazione inghiottita dalla guerra e svanita nel nulla. “Soldati di sventura” è stato riconosciuti da diverse testate nazionali come il primo libro che racconta in modo organico e documentato una pagina completamente rimossa sia dalla storia italiana, sia da quella dell’Alto Adige.
Proseguiremo poi raccontandovi del borgo di Montaione e lo faremo assieme al suo Sindaco Paolo Pomponi.
Montaione è un comune italiano di 3460 abitanti della città metropolitana di Firenze in Toscana, considerato uno dei borghi più belli d’Italia.
Il comune di Montaione fa parte della Valdelsa fiorentina, nel settore sud-occidentale della città metropolitana di Firenze. Confina a ovest e a nord con la provincia di Pisa. Dista circa 50km da Firenze in direzione sud-ovest e 60km da Pisa in direzione sud-est.
Storia
Secondo la leggenda un giovane nobile volterrano di nome Ajone, passò un giorno per una contrada lontana e nel più profondo del bosco incontrò la casa di Ine che piangeva la sua bellissima figlia, Figline, rapita da tal Gambasso. Ajone decise di riportare a casa Figline e marciò in guerra contro Gambasso. Riportata Figline dalla madre ottenne di sposarla e fondò sia il paese di “Monte Ajone” che il castello di Figline, a poca distanza da esso. I discendenti di Ajone e di Gambasso mantennero comunque un’accesa rivalità.
Un giorno i discendenti di Ajone e di Figline furono attaccati da un esercito nemico che dopo lungo assedio distrusse il castello, passando per le armi tutti i difensori. I popolani di Montaione smarrita la loro guida e la fede, ritornarono all’idolatrìa e decisero di sacrificare la più bella ragazza del paese, il cui nome era Filli, agli dèi in augurio di pace e felicità. Un cavaliere fiorentino, sentita la notizia, si precipitò a Montaione e inorridito dal sacrificio umano (e forse attratto dalla bellezza della fanciulla), obbligò i popolani a liberare la fanciulla e a sacrificare, al suo posto, una vitella. Fu così chiamato il “Sire della Vitella”.
Filli, liberata, per riconoscenza verso il suo salvatore gli donò il vestito rosso stracciato che indossava e che egli usò, con orgoglio, come sua bandiera. Filli e il Signore della Vitella si sposarono e ricostruirono il castello di Figline dove vissero innumerevoli anni. Il Sire della Vitella era così innamorato della sua sposa che non faceva altro che chiamarla “Filli mia bella”, “Filli desiata”, “Filli cara”… fu così che fu chiamato egli stesso e il luogo dove vivevano “Fillicara”. I loro discendenti si chiamarono così Fillicara o “Filicaja” o “da Filicaja” ed ebbero come emblema il simbolo del vestito di Filli.
Nel 1623 Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote del più famoso omonimo, durante una permanenza a Montaione presso i da Filicaja scrisse “L’Ajone”, che interpreta a suo modo la leggenda, aggiungendovi che al suo tempo nel “palazzo” dei da Filicaja a Montaione “(…)si sguazza, e mangia altro che ghiande / e d’un buon vino vi beon le pile”.
Origini
I primi documenti che menzionano Montaione risalgono al XIII secolo.
Il territorio era frequentato in epoca etrusca e romana, come testimoniano i ritrovamenti archeologici (necropoli e resti di fornaci presso Poggio all’Aglione, Bellafonte, Iano e Castelfalfi). Sotto Poggio all’Alglione sono presenti resti di una villa romana con pavimenti a mosaico e una cisterna per l’acqua. L’oratorio di San Biagio, a circa 500m dal paese, conserva una cripta paleocristiana.
L’etimologia del nome è stata fatta risalire, senza prove certe, ad una fondazione da parte di uno degli ultimi duchi longobardi del ducato di Tuscia, nell’VIII secolo, un certo Allone, da cui avrebbe preso il nome un luogo chiamato nei documenti Mons Allonis, forse identificabile con Montaione.
La prima citazione sicura del toponimo “Montaione” compare in un atto volterrano del 1113, e solo in un altro atto del 1224 è attestata l’esistenza del castello e della sua “curia” (territorio di pertinenza). L’organizzazione comunale è documentata a partire dal 1256.
INFO
Pagina web del libro ‘Laggiù dove si muore’
Sito web del Comune di Montaione
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