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Oggi vi racconteremo la storia di una ragazza, una cantautrice italiana di origini abruzzesi, Ilaria Di Nino che con la sua musica sta percorrendo un tragitto verso una carriera interessante.
Voce calda, note dolci che toccano l’anima… quali canzoni ha fatto? Beh più in basso troverete quelle che a noi piacciono di più, buon ascolto!
Vi parleremo poi dell’Orlando Furioso che oggi compie 506 anni.
L’Orlando furioso è un poema cavalleresco di Ludovico Ariosto pubblicato per la prima volta nel 1516 a Ferrara.
Il poema, composto da 46 canti in ottave, ruota attorno al personaggio di Orlando, cui è dedicato il titolo, e a molti altri personaggi. L’opera, riprendendo la tradizione del ciclo carolingio e parzialmente del ciclo bretone, si pone a continuazione (gionta) dell’incompiuto Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo; in seguito, tuttavia, Ariosto considererà l’Orlando innamorato solo come una fonte a cui attingere, a causa della non attualità dei temi del poema, dovuti alla materia cavalleresca, ma riuscirà a risolvere questo problema apportando modificazioni interne all’opera – tra cui l’introduzione di tecniche narrative sconosciute al Boiardo – e soprattutto intervenendo spesso nel corso del poema spiegando al lettore il vero fine degli avvenimenti.
Caratteristica fondamentale dell’opera è il continuo intrecciarsi delle vicende dei diversi personaggi, che costituiscono molteplici fili narrativi (secondo la tecnica dell’entrelacement, eredità del romanzo medievale), tutti armonicamente tessuti insieme. La trama è convenzionalmente riassunta in relazione a tre vicende principali, emblemi anche del sovrapporsi nel poema di diversi generi letterari: in primis la linea epica della guerra tra musulmani (Saraceni) e cristiani, che fa da sfondo all’intera narrazione e si conclude con la vittoria dei secondi.
La vicenda amorosa è incentrata invece sulla bellissima Angelica, in fuga da numerosi spasimanti, tra i quali il paladino Orlando, di cui viene sin dalle prime ottave preannunciata la pazzia, portando all’estremo la dimensione del cavaliere cristiano della chanson de geste votato alla fede. Le ricerche (o inchieste) dei vari cavalieri per conquistare Angelica si rivelano tutte vane, dal momento che (prima di uscire definitivamente dal poema nel XXIX canto, per giunta a testa in giù sulla sabbia) la donna sposerà il musulmano Medoro, causando la follia di Orlando e l’ira degli altri cavalieri.
Il terzo motivo, quello encomiastico o celebrativo (su cui tuttavia persistono all’interno del poema una serie di ombre), consiste nelle peripezie che portano alla realizzazione dell’amore tra Ruggiero, cavaliere pagano discendente del troiano Ettore, e Bradamante, guerriera cristiana, i quali riusciranno a congiungersi solo dopo la conversione di Ruggiero al termine della guerra: da questa unione discenderà infatti la Casa d’Este.
Sapevate che oggi è la Giornata della Terra?
La Giornata della Terra (in inglese: Earth Day) è il nome usato per indicare il giorno in cui si celebra l’ambiente e la salvaguardia del pianeta Terra. Le nazioni Unite celebrano questa ricorrenza ogni anno, un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera, il 22 aprile. La celebrazione vuole coinvolgere più nazioni possibili e oggi prendono parte 193 paesi. La Giornata della Terra nacque, in effetti, dalla pubblicazione, nel 1962, del libro manifesto ambientalista Primavera silenziosa, della biologa statunitense Rachel Carson; in seguito, nel 1969, in una conferenza dell’UNESCO a San Francisco, l’attivista per la pace John McConnell propose una giornata per onorare la Terra e il concetto di pace, per prima essere celebrata il 21 marzo 1970, il primo giorno di primavera nell’emisfero settentrionale. Questa giornata di equilibrio della natura è stata poi sancita in una proclamazione scritta da McConnell e firmata dal Segretario generale delle Nazioni Unite U Thant. Nata il 4 ottobre 1969 come movimento universitario per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra, nel tempo, la Giornata della Terra è divenuta un avvenimento educativo ed informativo. I gruppi ecologisti lo utilizzano come occasione per valutare le problematiche del pianeta: l’inquinamento di aria, acqua e suolo, la distruzione degli ecosistemi, le migliaia di piante e specie animali che scompaiono, e l’esaurimento delle risorse non rinnovabili (carbone, petrolio, gas naturali). Si insiste in soluzioni che permettano di eliminare gli effetti negativi delle attività dell’uomo; queste soluzioni includono il riciclo dei materiali, la conservazione delle risorse naturali come il petrolio e i gas fossili, il divieto di utilizzare prodotti chimici dannosi, la cessazione della distruzione di habitat fondamentali come i boschi umidi e la protezione delle specie minacciate.
Numerose comunità celebrano la Settimana della Terra, un’intera settimana di attività incentrate sulle problematiche ambientali.
Tutti, a prescindere dall’etnia, dal genere, da quanto guadagnino o in che parte del mondo vivano, hanno il diritto etico a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile. La Giornata della Terra si basa saldamente su questo principio. Il 22 aprile del 1970, 20 milioni di cittadini americani, rispondendo a un appello del senatore democratico Gaylord Nelson, si mobilitarono in una storica manifestazione a difesa del nostro pianeta.
Con gli anni, la Giornata della Terra è divenuta un’occasione di confronto tra i leader mondiali affinché vengano adottate strategie comuni e misure concrete per una drastica riduzione delle emissioni dei gas serra, come avvenuto nel 2021 quando il presidente USA Joe Biden ha convocato un vertice speciale per coordinare la lotta al cambiamento climatico.
Poi come tutti i venerdì, parliamo della commedia dell’arte, ossia delle maschere tradizionali italiane e questa settimana dato che siamo stati a Bergamo, perleremo proprio della tipica maschera bergamasca, Gioppino!
Gioppino (in bergamasco Giopì) è una maschera bergamasca. La sua principale caratteristica fisica sono tre grossi gozzi, da lui chiamati le sue granate o coralli, che ostenta non come un difetto fisico, ma come veri e propri gioielli, essendo essi il blasone di famiglia.
La tradizione vuole che sia nato da Bortolo Söcalonga e Maria Scatoléra a Zanica dove vive con la moglie Margì e il figlio: Bortolì. Il suo nome in bergamasco è Giopì de Sanga. Ha anche due fratelli, Giacomì e il piccolo Pisanbraga, e i nonni Bernardo e Bernarda.
Faccione furbo, rubicondo, vestito di grosso panno verde orlato di rosso, pantaloni scuri da contadino e cappello rotondo con fettuccia volante, di mestiere fa il facchino e il contadino, professioni che di fatto non pratica preferendo guadagni occasionali meno faticosi. Di modi e linguaggio rozzissimi, ma fondamentalmente di buon cuore, porta sempre con sé un bastone che non disdegna di usare per far intendere la ragione, sempre comunque a vantaggio dei piccoli e degli oppressi. Amante del vino e del buon cibo, si dichiara innamoratissimo della Margì.
Gioppino incarna il sempliciotto rozzo ma di buon cuore, pronto a difendere i deboli.
Ha assunto, tuttavia, anche una connotazione negativa, come persona furbastra e inaffidabile tanto che nel linguaggio comune si suole dire «fare la figura del Giopì» di chi non mantiene la parola o usa mezzucci per concludere raggiri di poco conto.
Gioppino oltre che essere una maschera è anche un burattino ed è protagonista di moltissime commedie per il teatro dei burattini. A Bergamo e provincia è talmente popolare che il suo nome dialettale indica in modo generale tutti i burattini. Da qui è nata l’espressione “fà ‘l giupì” che indica un atteggiamento di esagerata estroversione.
Uno degli ultimi grandi burattinai è stato il Bigio di San Pellegrino Terme, ossia Luigi Milesi, che alternava la sua attività principale di pasticciere e albergatore a quella di burattinaio per passione, con spettacoli che teneva nella piazzetta adiacente ai propri locali per il godimento di grandi e piccini.
Indimenticato fu Benedetto Ravasio di Bonate Sotto (1915-1990), l’artista che sintetizza il momento di passaggio tra la vecchia tradizione e il rinnovamento nel teatro di animazione. Figlio di un panettiere decise, insieme alla moglie Giuseppina Cazzaniga, di intraprendere professionalmente l’arte di burattinaio alla fine degli anni ’40 del secolo scorso. Benedetto Ravasio suonava il mandolino, il violino e sapeva cantare; fu scultore, pittore e drammaturgo di se stesso. In altre parole, fu il burattinaio completo così come in passato lo furono Francesco Campogalliani, Italo e Giordano Ferrari e i Preti. La signora Pina non fu mai da meno: il ruolo della donna, nel teatro dei burattini è sempre stato fondamentale seppur, spesso, in ombra; ella non si limitò alla sartoria e a dar voce ai personaggi femminili ma condivise con il marito tutte le scelte e ben quarant’anni di “vita in baracca”. Benedetto Ravasio presentava al proprio pubblico un Gioppino non volgare e contribuì a rendere popolarissimo questo personaggio, amato dai bergamaschi e da buona parte della popolazione lombarda nella seconda metà del Novecento, trasformando i vecchi canovacci della tradizione popolare, rivolti essenzialmente ad un pubblico adulto, rendendoli comprensibili e amati dai bambini. Si può dire che, nel tramandare la tradizione, egli fu uno tra i più grandi innovatori.
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