Puntata 132 – Il Parco Archeologico di Ercolano | Templari a Ferrara e Ugone de’Pagani

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04:04Il Parco Archeologico di Ercolano20:16Il racconto dell’eruzione del Vesuvio secondo Plinio il Giovane31:05Templari a Ferrara e Ugone de’Pagani

Oggi vi parleremo di archeologia, di ricerca e di storia, di Ercolano ma anche di Templari.

Inizieremo con Ercolano, parlando con il direttore del suo Parco Archeologico, il dottor Francesco Sirano che ci racconterà di quest’antica cittadina, vittima assieme alla vicina Pompei della tremenda e devastante eruzione del Vesuvio del 79 d.C..
Il dottor Sirano ci racconta delle nuove scoperte archeologiche, che, in questi ambienti sono quasi all’ordine del giorno.

Leggeremo poi in puntata una lettera di Plinio il Giovane, nipote del più famoso Plinio il Vecchio, in cui descrive le ultime ore di vita dello zio ma anche di tutti i territori colpiti dalla furia del vulcano e che riportiamo qui:

Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto il Giovane, nato a Como nel 61, era figlio di una sorella di Plinio il Vecchio; rimasto presto orfano di padre, fu adottato dallo zio materno del quale assunse il nome. Di ricchissima famiglia del ceto equestre, studiò retorica a Roma con Quintiliano e con Nicete Sacerdote. A 19 anni esordì nella carriera forense e divenne avvocato di successo; intraprese subito la carriera pubblica che fu rapida e fortunata. Fu nominato tribuno militare in Siria, comandante di uno squadrone di cavalieri e questore. Nel 90 entrò nell’ordine senatorio. Divenne poi tribuno della plebe, pretore, prefetto dell’erario militare e prefetto dell’erario di Saturno, console nel 100, anno in cui sostenne con l’amico fraterno Tacito l’accusa contro il proconsole d’Asia Marco Prisco, reo di malversazione. Fu nominato legato imperiale in Bitinia e morì nel 113 d.C. durante l’esercizio di tale funzione o, forse, subito dopo il ritorno in Italia. Uomo ricchissimo, intelligente, cordiale e simpatico, fu amico dei più importanti personaggi del mondo politico e letterario del suo tempo.

DESCRIZIONE DELL’ESPLOSIONE DEL VULCANO NEL 79 A.C.

Era a Miseno e teneva personalmente il comando della flotta. Il 24 di agosto, verso l’una pomeridiana mia madre lo avverte che spuntava una nube di grandezza e forme inusitate. Dopo un bagno di sole e uno freddo, si era sdraiato sul suo letto da lavoro, dove aveva consumato uno spuntino ed era intento allo studio. Allora domanda i sandali e sale in una località che consentiva la vista più agevole al prodigio. Si stava alzando una nube, ma senza che a così grande distanza si potesse distinguere l’esatta provenienza(si seppe poi che proveniva dal Vesuvio) e nessun altro albero meglio del pino potrebbe riprodurne l’aspetto e la forma. Slanciandosi infatti verso il cielo come sorretta da un immenso tronco, si allargava poi in forma ramificata, forse perché la potenza del turbine che dapprima l’aveva sollevata si andava spegnendo: priva di sostegno dunque, o forse anche vinta dal suo stesso peso, la nube si spandeva in larghezza, talora candida, talora sporca e chiazzata a seconda che fosse carica di terra o di cenere. L’importanza del fenomeno non sfuggì a mio zio, che, da scienziato,, volle esaminarlo più da vicino. Si fece preparare una liburnica e mi diede anche la possibilità di seguirlo, ma gli risposi che preferivo studiare. Infatti proprio lui mi aveva assegnato un lavoro scritto. Stava giusto uscendo di casa, quando gli viene recapitata una missiva con la quale Rectina, moglie di Casco, terrorizzata dal pericolo incombente (infatti la sua villa sorgeva proprio ai piedi del Vesuvio e la zona non permetteva scampo se non per mare), lo pregava di salvarla da una posizione molto critica. Egli cambia allora programma e affronta per magnanimità l’impresa che aveva intrapreso per semplice curiosità scientifica. Fa mettere in mare le quadriremi e anch’egli vi sale per portare aiuto non solo a Rectina, ma ai numerosi abitanti di quella costa ridente. Si dirige in tutta fretta proprio là donde gli altri fuggono e punta la rotta e il timone direttamente nel cuore del pericolo, tanto immune dalla paura da dettare e fissare sulla carta tutte le successive configurazioni del cataclisma, così come si presentavano ai suoi occhi. Ormai, quanto più si avvicinavano, sulle navi cadeva una cenere sempre più calda e più spessa, mista a pomici e a pietre nere bruciate e spaccate dal fuoco; per di più si era formato all’improvviso un basso fondale e i materiali precipitati dalla montagna avevano ostruito il litorale. Dopo un attimo di esitazione sull’eventualità di fare ritorno, disse al pilota che proprio a questo lo esortava: “La fortuna aiuta i forti, dirigiti alla dimora di Pomponiano”. Pomponiano si trovava a Stabia, dall’altra parte del golfo(infatti il mare penetra nella dolce insenatura formata dalle rive disposte ad arco) e alla vista del pericolo che era ancor lontano, ma incombente in tutta la sua grave evidenza, perché la nube cresceva quando si avvicinava, aveva caricato sulle navi tutte le sue masserizie, pronto a prendere il largo non appena fosse caduto il vento contrario. Mio zio, invece, approda col vento in favore, lo abbraccia, lo conforta e lo rassicura nella sua trepidazione e , per dissipare i timori di quello con l’esempio della propria serenità, si fa portare nel bagno, dopo che si mette a tavola e cena in allegria o – cosa non meno generosa- simulando di essere allegro. Intanto in più punti del Vesuvio si vedevano brillare ampie strisce di fuoco e alte vampate di cui le tenebre della notte facevano risaltare il bagliore. Egli, per calmare lo sgomento dei suoi ospiti, andava dicendo che si trattava di fuochi lasciati accesi dai contadini nell’affanno della fuga e di case abbandonate alle fiamme nella campagna. Poi andò a riposare e dormì di un sonno realmente profondo, perché passando davanti alla sua porta riuscivano a percepirne il respiro, che la sua corpulenza rendeva pesante e rumoroso. Intanto però il cortile da cui si accedeva alla sua camera si era tanto alzato di livello per la precipitazione di cenere e pomici che, se egli vi fosse rimasto più a lungo, gli sarebbe stato impossibile uscirne. Lo si sveglia, dunque; egli esce e raggiunge Pomponiano e gli altri che avevano vegliato. Tengono consiglio per decidere se restare in casa al coperto o fuggire per la campagna. Infatti i caseggiati traballavano sotto la spinta di frequenti scosse ad ampio raggio e, quasi rimossi dalle loro fondamenta, sembrava che sbandassero ora da una parte ora dall’altra per poi tornare in sesto; d’altra parte, stando all’aperto, c’era da temere la caduta di pomici, per quanto leggere e corrose. Tuttavia il confronto dei due pericoli indusse a preferire quest’ultima soluzione: in mio zio una ragione prevalse sull’altra. Si mettono sopra la testa dei cuscini e li legano con strisce di tela: questo fu il loro riparo contro i materiali che piovevano dall’alto. Altrove era ormai giorno, ma là persisteva una notte più scura e più fitta di tutte le notti, benché punteggiata di numeroso fiaccole e di luci di vario genere. Si decise di uscire sulla riva del mare per controllare da vicino se permetteva qualche tentativo, ma lo si vide ancora sconvolto e impraticabile. Là mio zio fece stendere un drappo per terra e vi si sdraiò, domandò a più persone acqua fresca e ne bevve. Ma ben presto fiamme e puzza di zolfo, preannunzio di fiamme, inducono tutti gli altri alla fuga e lo ridestano; egli riuscì a sollevarsi appoggiandosi a due giovani schiavi, ma nello stesso istante stramazzò; immagino che l’aria sovraccarica di caligine gli abbia arrestato la respirazione occludendogli la gola che egli aveva debole già per costituzione, gonfia e spesso infiammata. Quando riapparve la luce del sole erano passati tre giorni da quello che per lui era stato l’ultimo; il suo cadavere fu ritrovato intatto, illeso e senza alcunché di notevole nello stato del vestiario: l’atteggiamento delle sue membra era quello del sonno, non della morte.

Torneremo poi a Ferrara per parlare di cosa stanno cercando i Templari Cattolici d’Italia che nella persona del loro magister il dott. Mauro Giorgio Ferretti, ci raccontano cosa stanno cercando nella ex-chiesa di San Giacomo di Ferrara con i georadar e la collaborazioni di Università italiane e straniere.

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